giovedì 23 febbraio 2012

Qualcosa sulla Profezia Maya



La ruota nascita – vita – morte – rinascita sembrerebbe aver concluso il suo giro, se non fosse che in ogni cosmologia elaborata dai popoli del mondo, ad ogni morte segue una nuova nascita. Oltre le pinne dei Pesci che sguazzano senza farsi mai acchiappare, fanno capolino le corna annodate dell’Ariete per ricordarci che non esiste mai una fine ultima.

La morte, d’altra parte, per chi è abituato a vedere le cose secondo questa prospettiva (soprattutto le filosofie e i credi religiosi orientali, incentrati sulla reincarnazione) non è da vedersi esclusivamente come qualcosa di negativo, tutt’altro. In queste visioni, esistendo esclusivamente una morte di tipo fisico, può essere concepita anche come un benefico e fecondo “rinnovamento” soprattutto per la nostra anima.

D’altra parte, non è detto che si debba parlare per forza di cose esclusivamente di morte fisica. L’essere umano, ovviamente, per dei retaggi culturali ormai profondamente radicati nel suo modo di pensare, al sentir pronunciare questa parola non può fare a meno di pensare che alla propria distruzione fisica. In realtà, lontano dall’immagine medievale della Signora di Nero Vestita che se ne andava in giro con una falce per tranciare teste e vite umane, nelle popolazioni pre-romane, pre-ispaniche e altrove chiamate “primitive”, la morte indicava, soprattutto nell’agricoltura che non a caso era la loro fonte di sussistenza e di sopravvivenza, la fine di un ciclo e la rinascita di un altro. Per dirlo in maniera più semplice: all’abbondanza del raccolto segue il riposo sterile della terra, ma non è la fine perché, trascorso il tempo “buio” nuovi germogli annunciano già la rinascita delle piante o l’uscita dal letargo di animali per la caccia.

Affianco all’esempio “pratico” dell’avvicendarsi delle stagioni, il lato più astratto di questi culti poneva riflessioni sulla propria morte interiore: nel buio del proprio spirito si può leggere ciò di cui dobbiamo liberarci (rancori, odi, sentimenti che ci fanno stare male e/o fanno soffrire chi ci circonda).

Sono molte, dunque, le corrispondenze tra il tuffo di Nettuno nei Pesci e la Profezia dei Maya. Entrambe giungono per ricordarci che qualcosa nelle nostre vite o nella nostra maniera di vivere non va e che, dunque, va “allontanata”: uno stile di vita che danneggia noi stessi o qualcun altro, qualche relazione con altri esseri umani o con la natura stessa che è infecondo, sterile e/o distruttivo …

Se proprio dovessimo temere di morire, nel vero senso della parola; se proprio dovessimo temere la fine del mondo, pensiamo anche al fatto che già buona parte di queste “disgrazie” le stiamo alimentando noi stessi con la distruzione lenta ma inesorabile del nostro pianeta (deforestazione, radioattività, inquinamento, sfruttamento estremo delle risorse …) e, come se non bastasse, anche degli esseri umani (guerre, fame e pestilenze indotte, sfruttamento e violenza, razzismo, odio ed insofferenza verso le differenze e/o le minoranze)

Leggere il Cielo a volte può aiutarci a leggere anche la realtà che ci circonda e, soprattutto, dentro noi stessi.

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