Facendo il suo rientro in Pesci, Nettuno chiude un viaggio che ha seguito il percorso di una circonferenza. Lo fa, esattamente, stazionando nella
dodicesima posizione.
La ruota nascita – vita – morte – rinascita sembrerebbe
aver concluso il suo giro, se non fosse che in ogni cosmologia elaborata dai
popoli del mondo, ad ogni morte segue una nuova nascita. Oltre le pinne dei Pesci
che sguazzano senza farsi mai acchiappare, fanno capolino le corna annodate
dell’Ariete per ricordarci che non esiste mai una fine ultima.
La morte, d’altra parte, per chi è abituato a vedere le
cose secondo questa prospettiva (soprattutto le filosofie e i credi religiosi
orientali, incentrati sulla reincarnazione) non è da vedersi esclusivamente
come qualcosa di negativo, tutt’altro. In queste visioni, esistendo
esclusivamente una morte di tipo fisico, può essere concepita anche come un
benefico e fecondo “rinnovamento” soprattutto per la nostra anima.
D’altra parte, non è detto che si debba parlare per
forza di cose esclusivamente di morte fisica. L’essere umano, ovviamente, per
dei retaggi culturali ormai profondamente radicati nel suo modo di pensare, al
sentir pronunciare questa parola non può fare a meno di pensare che alla
propria distruzione fisica. In realtà, lontano dall’immagine medievale della
Signora di Nero Vestita che se ne andava in giro con una falce per tranciare
teste e vite umane, nelle popolazioni pre-romane, pre-ispaniche e altrove chiamate
“primitive”, la morte indicava, soprattutto nell’agricoltura che non a caso era
la loro fonte di sussistenza e di sopravvivenza, la fine di un ciclo e la
rinascita di un altro. Per dirlo in maniera più semplice: all’abbondanza del
raccolto segue il riposo sterile della terra, ma non è la fine perché,
trascorso il tempo “buio” nuovi germogli annunciano già la rinascita delle
piante o l’uscita dal letargo di animali per la caccia.
Affianco all’esempio “pratico” dell’avvicendarsi delle
stagioni, il lato più astratto di questi culti poneva riflessioni sulla propria
morte interiore: nel buio del proprio spirito si può leggere ciò di cui
dobbiamo liberarci (rancori, odi, sentimenti che ci fanno stare male e/o fanno
soffrire chi ci circonda).
Sono molte, dunque, le corrispondenze tra il tuffo di
Nettuno nei Pesci e la Profezia dei Maya. Entrambe giungono per ricordarci che qualcosa
nelle nostre vite o nella nostra maniera di vivere non va e che, dunque, va
“allontanata”: uno stile di vita che danneggia noi stessi o qualcun altro,
qualche relazione con altri esseri umani o con la natura stessa che è
infecondo, sterile e/o distruttivo …
Se proprio dovessimo temere di morire, nel vero senso
della parola; se proprio dovessimo temere la fine del mondo, pensiamo anche al
fatto che già buona parte di queste “disgrazie” le stiamo alimentando noi
stessi con la distruzione lenta ma inesorabile del nostro pianeta
(deforestazione, radioattività, inquinamento, sfruttamento estremo delle
risorse …) e, come se non bastasse, anche degli esseri umani (guerre, fame e
pestilenze indotte, sfruttamento e violenza, razzismo, odio ed insofferenza
verso le differenze e/o le minoranze)
Leggere il Cielo a volte può aiutarci a leggere anche
la realtà che ci circonda e, soprattutto, dentro noi stessi.
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