Dal 2006, il 24
Febbraio è diventata la data che rievoca il giorno in cui, nel 391, per
opera di un editto emanato dall’imperatore Teodosio, il Sacro Fuoco di Vesta
venne spento per sempre e le pratiche pagane condannate.
Tutti i gruppi che si professano pagani ricordano non
solo questo evento ma cercano di riportare l’attenzione su quanto, nel mondo
moderno, si mantiene delle antiche radici religiose.
Rievocare gli antichi culti è, dunque, la parola
d’ordine, ma non solo. Trovano spazio e voce anche il ricordo delle avversità e
delle violenze subite dai “pagani” nel momento in cui un Uno (non solo
religioso ma anche politico, sociale e culturale) cercò di porre termine alla
molteplicità del sentire, del vedere e del vivere.
Il “fuoco” delle antiche sacerdotesse di Vesta si fa
simbolo di un sentimento religioso “diverso” dall’unico accettato come vero.
Sarà Bologna, quest’anno, il luogo della celebrazione principale del Giorno
Pagano della Memoria e si ricordano gli eventi legando un nastrino viola
attorno al proprio polso.
Eretici, streghe e scienziati vengono ricordati per i loro contributi alla
libertà non solo del pensiero ma anche del sentire e del vivere, a nuova
conferma che è possibile la convivenza anche tra visioni della vita fra loro molto
diverse.
Personalmente, quest’anno vogliamo ricordare la figura
di Ipazia di
Alessandria: una donna sapiente e spirito “divinissimo” in un
contesto di lotta per la supremazia.
La vera differenza
non è tra chi crede e chi non crede,
ma tra chi pensa e chi non pensa.
Norberto Bobbio.
Resa maggiormente nota dal film Agorà (2009) di Alejandro Amenábar, la figura e le vicende vissute
da questa giovane donna erano note agli intellettuali sin dai tempi di
Voltaire. Decidiamo di portare avanti un “riassunto storico” e qualche
riflessione partendo proprio da questo film per poi citare e rimandare anche a
testi scritti in vari periodi storici.
Grande astronoma e pensatrice, visse ad Alessandria
d’Egitto tra il 370 e il 415 d.C. Fondata nel 331 a.C. da Alessandro Il Grande
e concepita come centro commerciale e culturale, Alessandria non va ricordata
solo per questi motivi, ma anche perché fu un luogo macchiato da numerose e
violentissime persecuzioni contro i pagani. Il museo, la Biblioteca ed il
Serapeo (il tempio di Serapide), la scuola di Ipazia legata all’accademia
neoplatonica ad Atene furono le “perle” che caratterizzavano questa grande
città del passato. Città ricca (commercialmente e culturalmente) riusciva a
mettere in contatto fra loro culture ed etnie diverse. Questa era la sua punta
di diamante. Questo riusciva a renderla così unica. Città che faceva
indubbiamente gola a quanti volessero affermarsi univocamente tanto in ambito
politico quanto in quello più specificatamente culturale.
Di Ipazia si dice che era bellissima, sapiente, capace
di scrutare negli spazi stellari, inventrice di strumenti di misurazione e
quindi versata nella speculazione e nella sperimentazione. Ma di lei colpisce,
soprattutto, il suo essere stata indomabile
nell’amore della verità. Una donna che ha
rifiutato di obbedire senza convinzione.
Era “troppo”, Ipazia. Troppo simbolicamente eversiva,
troppo vistosamente rappresentativa per non personificare un bottino
succulento. Non c’è dubbio che era un pericolo troppo grande per l’ottusità,
l’arroganza e la menzogna.
All’inizio del V secolo Alessandria era un centro
commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente, ma
anche una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si
facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Si trattava di una società plurale
in cui si stava consolidando la monoliticità della Chiesa cristiana.
Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche e,
ben presto, la discepola divenne più brava del maestro, dirigendo la scuola
neoplatonica della città. Era ascoltata dal popolo (da qui la scelta del titolo
del film) e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il
fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche,
geometriche, astronomiche e filosofiche.
Nel film s’intuisce anche che altri pensatori riconoscevano
l’autorità di Ipazia, persino alcune autorità religiose e civili. Tra queste
ultime, ce ne sono alcune che la temevano, tanto come filosofa quanto come
“politica” per la sua chiarezza e non soggezione alle convenzioni e alle
convenienze del momento. Per tali motivi suscitò invidia fino alla congiura
della sua uccisione.
L’intolleranza si mescolò prontamente a quanto di più
disumano possa esistere: il non rispetto per gli altri, lo schernimento – che
fu rivolto agli déi e, dunque, al popolo che a quelli credeva –. I luoghi di
culto e gli oggetti sacri dei pagani vennero umiliati pubblicamente.
Anticipando quello che in seguito fece l’Inquisizione,
gli intolleranti cominciarono a catalogare come pagano chiunque non fosse di
culto cristiano. La violenza non si perpetuò soltanto contro il paganesimo ma
anche contro l’origenismo, la corrente cristiana più affine al neoplatonismo.
Le violenze perpetuate cominciarono a generare altre
violenze e anche i pagani si armarono. Sopra ognuno di essi (cristiani, ebrei e
pagani) si posava lo sguardo di questa donna, l’unica – forse in quel tempo – ad
affermare quanto l’intolleranza verso gli altri culti religiosi porti non tanto
all’affermazione del proprio credo quanto, piuttosto, all’annullamento (fisico
e morale) dell’altro.
La mente del complotto per l’uccisione di Ipazia fu
Cirillo, vescovo cristiano, capo della religione vincente e successivamente
nominato Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorà,
liberamente, culturalmente e politicamente. Il vescovo non sopportava che
Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale
Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei
parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente colpendolo in testa con una pietra.
Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto
tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il
nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione
cristiana – procedimento che ritroveremo tante altre volte nella storia!
Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesareo trasformato in cattedrale cristiana. Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.
Della figura di Ipazia vogliamo sottolineare e ricordare:
-
La maestra attorniata dai suoi discepoli,
mentre insegna astronomia, filosofia e politica, l’arte della relazione
attraverso la parola. È evidente l’affetto e l’attaccamento della maestra per i
suoi discepoli e di loro per lei e tra di loro. Si considerano un gruppo, un
gruppo privilegiato, e di questo dà abbastanza conto il film stesso.
C’è un modo di insegnare
in cui si valorizza lo sforzo del discepolo, il bisogno di sperimentare e un
modo di imparare in cui viene riconosciuta una grande autorità alla maestra e
in cui risaltano le relazioni nel gruppo.
-
È una donna che parla con franchezza, in
amore di verità, in spregio del pericolo, a costo della propria vita, perché la
comunità sia salva.
Ipazia non ha divinità da
ascoltare. Parla a nome di se stessa “spirito divinissimo”. Nessun dio le
appare immune dagli attributi di idolo che l’essere umano gli conferisce.
Tuttavia, anche Ipazia è in ascolto di una voce che le impone di dire la
verità, di fare verità e di esprimersi in piena e totale libertà. Anche Ipazia,
come i profeti, viene fatta selvaggiamente ed esemplarmente sparire:
sminuzzata, quasi a dimostrare quanto poteva essere calpestata la voce della
verità – cercando di sprofondarla nel silenzio.
Forse, il regista non
mette sufficientemente in rilievo l’agire politico di questa filosofa
neoplatonica, la sua capacità di
avere a cuore la città, di mediare tra
il potere imperiale, i sacerdoti del panteon classico, i monaci, il clero
cristiano e gli ebrei. Ipazia non ha potere, ma gode di grande autorità
presso tutti loro e presso la popolazione di Alessandria, un’autorità che
riuscirà ad essere scalzata solo con l’accusa di magia nera, di stregoneria,
una delle pratiche più temute dal popolo di questa città orientale.
Due scene, in particolar modo,
sono da sottolineare. La prima è quando viene messa in bocca ad Ipazia questa
frase: “Tu puoi permetterti di non
dubitare delle cose, io no”, in un dialogo dell’astronoma con uno dei suoi
ex discepoli, Sinesio, già divenuto vescovo di Cirene. L’altra mostra il suo
bisogno di pensare, di mettere in discussione il sapere dato per andare avanti
nella conoscenza e mostra come la felicità e la libertà di una donna di scienza
si radichino nel conoscere il mondo e i suoi/le sue simili.
Se dovessimo dare una parola
“moderna” alla tenace lotta di Ipazia dovremmo usare, almeno credo, la parola
“responsabilità”: fare buon uso – dare una buona risposta – di ciò che ha
ricevuto in dono: sapienza, bellezza e conoscenza.
-
Tra le distruzioni e devastazioni ricreate
in Agorà, ce n’è una, particolarmente
drammatica, che ha avuto una grande ripercussione per tutta l’umanità: la distruzione della Biblioteca di
Alessandria. Anche qui si può fare un parallelismo con le distruzioni delle
ultime guerre, nella ex Iugoslavia e soprattutto in Iraq – dove pare siano
state distrutte opere che ci permettevano di conoscere le prime espressioni
della scrittura, una manifestazione intellettuale fondamentale delle creature
umane.
La distruzione della
Biblioteca è uno degli effetti dell’intolleranza,
in particolare dell’intolleranza religiosa (che con una lettura molto di oggi e
forse mirata, può facilmente essere identificata con la visione di una fede
cieca in Dio padre e nei suoi ministri, senza
lasciare nessuno spazio alla riflessione personale). Ma se il film è una
perorazione contro l’intolleranza (“I primi obiettivi dell’intolleranza” – ha
dichiarato il regista – “sono le donne e la scienza”), non vi è una perorazione
altrettanto forte contro ciò che è alla radice dell’intolleranza, della
violenza, della contrapposizione e della guerra.
Le scene violente che il
regista ricrea, non fanno vedere come la guerra sia il fallimento della
mediazione, della parola, del riconoscimento delle differenze, della politica
come arte del possibile.
-
Nel film di Amenábar, le donne sono quasi
assenti: se ne vedono alcune tra la folla e nei tumulti di strada, ma poche.
Non c’è nessun riferimento alla madre della pensatrice, né a quella degli altri
protagonisti. Ipazia figura femminile solitaria? Donne libere come lei hanno
detto la loro parola e vissuto in fedeltà al “meglio” del loro essere perché in
relazione con altre donne e uomini, anche se la storia ufficiale non li ha
fatti conoscere.
Da alcuni testi:
Provenendo
dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai
suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni.
Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva
acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve
in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare ad una
riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità
straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più. (Socrate
Scolastico, Historia ecclesiastica)
Tale
era Ipazia, così articolata ed eloquente nel parlare come prudente e civile nei
suoi atti. La città intera l’amò e l’adorò in modo straordinario, ma i potenti
della città l’invidiarono, cosa che spesso è accaduta anche ad Atene. Anche se
la filosofia stessa è perita, il suo nome sembra ancora magnifico e venerabile
agli uomini che esercitano il potere nello stato. (Damascio,
Vita di Isidoro)
La filosofa Luisa Muraro invita a non trasformare
Ipazia in una martire della scienza vittima dell’oscurantismo, una sorta di
antenata di Galileo, e a focalizzare il ruolo
giocato dal suo essere donna in quel particolare contesto storico: da un
lato “lei fu eliminata perché disturbava,
con la sua indipendenza, l’antagonismo fra due poteri, quello imperiale e
quello ecclesiastico, che erano anche due uomini”, il vescovo e il
prefetto; dall’altro “la nascente
religione cristiana, a differenza di quella grecoromana e di quella egizia, non
rendeva pensabile ed accettabile una donna con le prerogative di Ipazia, libera
di sé, non subordinata a partiti o fazioni, presente e parlante in luoghi
pubblici, sapiente, maestra dotata di una parola autorevole per donne e uomini”.
Dalle riflessioni del regista:
Il
film è nato per caso … volevo fare qualcosa sul tema dell’astronomia, che mi
appassiona da sempre. Durante le ricerche tra tanti grandi come Galileo, Newton
o Keplero ho scoperto un solo nome femminile, Ipazia. Un personaggio ideale e
non solo per la componente femminista. Mi affascinava l’idea di rappresentare
la scienza attraverso una donna che, in un’epoca di intolleranza, voleva
diffondere la conoscenza con una mentalità aperta e tollerante. Alle sue
lezioni c’erano giovani di ogni religione, anche cristiani.
[…]
Secondo le cronache Ipazia fu letteralmente fatta a pezzi, volevo una fine più
sopportabile per il pubblico, ho scelto la lapidazione, che fa anche parte
della realtà di oggi in alcuni paesi. Quanto a Cirillo, è importante per il
contesto storico. Di lui sapevo che era un santo, mi ha sconvolto la scoperta
di tutto il male che ha fatto mentre era vescovo. Nel film racconto solo il 30
per cento della sua crudeltà. Penso che alla santità sia più vicina Ipazia di
lui. Ipazia che, come Cristo, è stata uccisa perché amava il prossimo e parlava
con tutti.
[…] Temevo qualche polemica, perché il film
evoca un momento del cristianesimo mai raccontato sullo schermo. Ma non vuole
offendere la Chiesa. È contro l’intolleranza e il fanatismo, da qualunque parte
provenga. Purtroppo oggi come allora l’intolleranza continua ad uccidere. Non
mi aspettavo che ad Alessandria ci fosse il divieto sul film per paura che le
minoranze cristiane subiscano aggressioni dalla maggioranza islamica.
Letture per approfondire:
ATHANASSIADI, Polymnia, "Persecution and Response in Late Paganism: The Evidence of Damascius", The Journal of Hellenic Studies, Vol. 113 (1993), pp. 1-29.
BERETTA, Gemma, Ipazia d'Alessandria, Roma, Editori Riuniti, 1993.
HAAS, Christopher, Alexandria in Late Antiquity: topography and social conflict, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1997.
REMONDON, R., "L'Egypte et la supreme resistance au christianisme (Ve - VIIe siecles)", Bulletin de l'Institut Français d'Archéologie Orientale, 51 (1952), pp. 63-78.